This is a male nipple. Am i censored enough? di Irene Tomio

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È stato lanciato su instagram, This is a male nipple. Am i censored enough? un progetto di Irene Tomio (tutto gli scatti su irenetomio.com). Un progetto fotografico che a suo modo parla di diritti, di censura e di libertà di espressione. In trepidante attesa per il responso di META sulla revisione delle attuali policy di censura. This is a male nipple. Am i censored enough? è serie di ritratti che, con ironia e deliberata provocazione, vogliono sottolineare il ridicolo paradosso dell’algoritmo censore ed affermare il diritto di tutti ad esprimere la propria identità libera.

“La disparità è sotto gli occhi di tutti. Il corpo femminile è ancora un problema. Stereotipi e discriminazioni fanno ancora parte della nostra cultura e condizionano la libertà di espressione delle donne in tutti gli ambiti della società in molti Paesi nel mondo. La rappresentazione del corpo femminile è sottoposta a censure molto più stringenti di quelle riservate al corpo maschile, indipendentemente dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. E cosa è l’immagine e la rappresentazione di sé se non un modo di esprimere ed affermare la propria identità? ha commentato l’artista. “Per questa ragione la censura che viene fatta non è soltanto di forma, ma di sostanza.”

This is a male nipple. Am i censored enough? di Irene Tomio
© Irene Tomio

 

“Anche i social network hanno un problema con la parità di genere. Il corpo delle donne sui social ed in particolare i capezzoli femminili sono occultati nei modi più bizzarri e fantasiosi. Stelline, fiorellini, cuoricini deturpano a torto nudi artistici, foto e dipinti. Ma cosa si sta censurando: la donna o i suoi capezzoli? E se a censurare i capezzoli femminili, fossero proprio quelli di un uomo? Uguali nella forma. Diversi nella sostanza?”

“Da qui è nata l’idea di eludere l’algoritmo prendendolo un po’ in giro, censurando le donne a cui è vietato mostrare il seno nudo sostituendo i loro capezzoli con quelli maschili “autorizzati”. Ha aggiunto la fotografa – “Ho fotografato un gruppo di uomini che hanno aderito al progetto compiendo l’atto simbolico di prestare i loro capezzoli raffigurati su delle polaroid, permettendomi così di realizzare altrettanti scatti con le donne. Il risultato una serie di ritratti che, con ironia e deliberata provocazione, vogliono sottolineare il ridicolo paradosso dell’algoritmo censore ed affermare il diritto di tutti ad esprimere la propria identità libera.

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