Fino al 20 ottobre 2024 Antonio Donghi, interprete di spicco del Realismo Magico, è il protagonista di una grane mostra a Palazzo Merulana. Antonio Donghi. La magia del silenzio, a cura dello studioso Fabio Benzi, riporta all’attenzione di appassionati ed esperti le opere dell’artista italiano, per ricercarne e cogliere nuove suggestioni. L’esposizione è prodotta da CoopCulture.
Antonio Donghi una rappresentazione della realtà chiara ma ambigua che nella sua semplicità nasconde un senso di improvvisa rivelazione
![Antonio Donghi mostra roma palazzo merulana](https://i0.wp.com/www.lifestar.it/wp-content/uploads/2024/06/asDFGHJG.jpg?resize=696%2C540&ssl=1)
Classe 1897, romano, Donghi fu fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1963, un artista schivo e introverso, che tuttavia divenne noto in tutto il mondo e sul quale moltissimi critici si sono confrontati per definirne l’appartenenza culturale e classificarne lo stile. La sua è una raffigurazione della realtà chiara, gentile ma ambigua, all’apparenza semplice e decifrabile, ma che nasconde un magnetico e magico senso di aspettativa, dando all’osservatore l’impressione di poter ricevere da un momento all’altro una rivelazione che lo coinvolge o una domanda inquietante.
La mostra offre diverse chiavi di lettura di questa poetica di Antonio Donghi attraverso un percorso che riunisce trentaquattro capolavori. I nuclei più significativi provengono dalla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma; dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna; dalla Banca d’Italia: dalla UniCredit Art Collection e dalla Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che nel loro insieme rappresentano l’intero percorso dell’artista, toccandone tutti i temi principali: paesaggi, nature morte, ritratti, figure in interni ed esterni, personaggi del circo e dell’avanspettacolo.
In particolare, la mostra si pone come approfondimento di uno dei principali nuclei pittorici rappresentati nella Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che possiede ed espone in permanenza proprio a Palazzo Merulana tre fondamentali capolavori donghiani: Le lavandaie (1922-23); Gita in barca (1934); Piccoli saltimbanchi (1938).
Il mistero della metamorfosi dello stile di Antonio Donghi
Il percorso artistico di Antonio Donghi è silenzioso e misterioso almeno quanto i contenuti della sua pittura, espressi in una forma algida e apparentemente impenetrabile. La sua produzione, nel giro di pochi mesi, tra la fine del 1922 e l’inizio del 1923, subì un mutamento radicale e rapidissimo con il passaggio da uno stile basato su una tradizionale pittura di matrice ottocentesca a una visione completamente rinnovata, capace di inserirsi e incidere nell’avanguardia europea che presto lo avrebbe visto incluso in quella tendenza del Magischer Realismus (Realismo magico), lanciata in Germania da Franz Roh, come uno dei maestri più significativi, e lo avrebbe proiettato con successo persino nelle mostre e nel mercato americano.
Il curatore Fabio Benzi individua le ragioni del cambiamento nella frequentazione della galleria Bragaglia a Roma e nell’incontro con l’arte di Umberto Oppi, che nella stessa galleria arrivò con una sua personale: “Le opere di Oppi, con i personaggi immobilizzati in un’atmosfera senz’aria, i paesaggi costruiti da edifici geometrici sovrapposti nella loro volumetria come negli affreschi giotteschi, il disegno nitido e affilato, le espressioni interrogative e penetranti, l’aria di realismo magico al limite della “Nuova Oggettività” tedesca devono essere state il vero precedente saliente e l’ispirazione scatenante per Donghi. Ma la folgorazione di Donghi non fu passiva. Al glamour rarefatto di Oppi, egli preferì una popolarità nostrana, quasi romanesca, che spogliava la figurazione dai preziosismi e la adattava a pollarole, lavandaie, donne del popolo, cacciatori e teatranti dell’avanspettacolo”.