All Those Stuffed Shirts, l’installazione di Anna Franceschini per Triennale Milano

Triennale Milano presenta fino al 2 luglio 2023 il nuovo progetto di Anna Franceschini All Those Stuffed Shirts, a cura di Damiano Gullì.

Un installazioneappositamente ideata e realizzata per Triennale, composta da sette macchine per la stiratura automatica chiamate dressmen. Una volta modificate nella loro meccanica profonda e rieducate grazie a un algoritmo,dressmen eseguono, ciclicamente, una partitura, attraverso il loro unico mezzo espressivo: l’aria.
La composizione di respiri è stata pensata e composta insieme all’artista Matteo Nasini (Roma, 1976), mentre i corpi tessili dei dressmen nascono dalla collaborazione con la designer Nelly Hofmann (Parigi, 1988).

Il titolo, All Those Stuffed Shirts, allude a un modo di dire anglosassone che indica qualcuno pieno di sé, presuntuoso, conservatore e reazionario, un vero e proprio “pallone gonfiato” e pone l’accento sull’abito per denigrare chi lo indossa, che, a sua volta, diventa semplice riempimento.

All Those Stuffed Shirts, Anna Franceschini si interroga sul divenire immagine dell’oggetto tecnico. Un oggetto che produce l’illusione della vita in maniera prevedibile, rimettendola ciclicamente in scena

Già nel 2012 la Franceschini realizza una video installazione che inquadra le macchine stiratrici nel luogo di produzione mentre sono impegnate nella dimostrazione della loro funzione, sottolineandone la natura scultorea e il valore di readymade. Per l’installazione in Triennale, l’artista libera i dressmen dalla gabbia dell’inquadratura per farli impossessare dello spazio espositivo.

Anna Franceschini mette in mostra un apparato ibrido e complesso, situato tra il balletto meccanico, la macchina celibe (o nubile?) e il concerto per strumenti “preparati”. Nel display, i quasi-corpi reclamano presenza, riuniti in una danza senza fine. La pratica dell’artista, sostanziata da un’accurata ricerca intorno ai dispositivi di visione e le loro qualità materiali e tecniche, ribalta i termini della discussione sul “cinema come macchina” che rivitalizza ciò che è inanimato e riconsidera la “macchina come cinema”, una screenless animation, come Franceschini ama definire le sue creature meccaniche. Gli episodi animati sono frammenti di uno spettacolo che solleva domande sulla soggettività, la libertà e la marginalità. Un film senza film, un montaggio di “incidenti” provocati da meccanismi motorizzati, l’apparenza di vita come sottoprodotto di un processo industriale immaginario.

Anna Franceschini mostra milano triennale
Anna Franceschini All Those Stuffed Shirts © Andrea Rossetti

L’installazione si interroga sul divenire immagine dell’oggetto tecnico. L’attività delle macchine da stiro modificate sembra un’animazione GIF tridimensionale e materica, una vignetta di TikTok, la cui seduzione è implicata dall’eterna ripetizione. Il robot da stiro produce l’illusione della vita in maniera prevedibile, rimettendola ciclicamente in scena: l’aria spinge i sacchi di tessuto sintetico al limite e li fa quasi esplodere prima di un arresto cardiaco che li porta al collasso. Risate, applausi, pronti, ripartenza.
Esiste una dimensione esistenziale, in questa animazione, veicolata dal respiro, la tecnologia di sopravvivenza del corpo umano. Il gonfiarsi di questi manufatti industriali sembra andare oltre la necessità di un soggetto umano come agente attivatore, proiettandoli verso una sorta di autonomia ontologica. Chi sono, poi, i palloni gonfiati? In realtà i marchingegni esibiti sono docili e condannati alla sostituzione. Sono diventati una minoranza, nel gioco delle parti del progresso, e intercettano un aspetto cruciale dell’antropocentrismo: l’idea che il mondo sia al servizio dell’uomo e costretto a una condizione di eterna schiavitù.

Le opere sondano la duplice natura della macchina industriale: inoffensiva aiutante meccanica che genera compassione per il suo corpo incompleto e mostro che, fuori controllo, può provocare panico e distruzione. Intrappolata tra le categorie del perturbante e dell’inquietante, l’installazione ci restituisce una riflessione sul rapporto tra la macchina e i suoi creatori, tra umano e artificiale, sulle politiche identitarie e sulla valenza del corpo – qualsiasi corpo – come dispositivo desiderante.

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